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A scuola meno latino e più italiano

Mer, 13/05/2009
di: 
Gabriela Jacomella

I giovani giudicano i programmi appena studiati: insofferenza per la teoria, voglia di materie subito utili
MILANO - Cartesio, Aristotele e Rousseau? Noiosi, sorpassati e decisa mente inutili. Per non parlare dello studio di funzioni o del calcolo vetto riale, già difficili da capire di loro, spesso — oltretutto — spiegati male. No, grazie. Così come latino e greco antico: meglio che siano insegnati so lo al classico. O almeno, così la pensa no tre ex studenti su quattro. La scuola vista non più dagli alun ni, non ancora dai genitori o dagli in segnanti, è un paesaggio che si apre su scorci inaspettati. La graduatoria delle materie, i valori trasmessi, l’uti lità per il futuro, il rapporto con la vi ta reale: c’è tutto questo e altro anco ra nella nuova indagine dell’Associazione TreeLLLe, dedicata alle opinio ni dei «giovani adulti» — tra i 19 e i 25 anni, neodiplomati, universitari o lavoratori — nei confronti del siste ma scolastico. Oltre millecinquecen to interviste (per la precisione, 1.508) equamente suddivise tra tre cit tà, Lecce, Siena e Bologna. Tre territo ri diversissimi fra loro, per risultati sorprendentemente simili. E un’istan tanea inedita delle nostre scuole supe­riori. Scattata, per la prima volta, dal l’altro lato dello specchio.

Il desiderio di comunicare

C’è, all’origine di tutto, una rifles sione. «Si parla sempre di ciò che i ra gazzi dicono della scuola, mentre la stanno frequentando. O dell’opinio ne che ne hanno gli adulti, fuori or mai da tempo. Entrambe le letture so no falsate: dall’eccesso di coinvolgi mento e dall’immaturità, o dalla lon tananza e dalle rimembranze». È così che ad Attilio Oliva, presidente di Tre eLLLe, è venuto da chiedersi: «Chi può dare un giudizio fermo e medita to sulle superiori italiane?». La rispo sta: «I giovani che le hanno lasciate da poco e ne vedono i risultati. Al la voro, o all’università». Ricerca nuova, risultati spiazzanti. Le materie, innanzitutto. Alla doman­da sull’«importanza» assegnata a cia scuna di esse, solo cinque delle dieci inserite nel questionario sono state valutate come «molto importanti» da almeno la metà degli intervistati. La graduato ria finale, raggruppando le «molto» e le «moltissimo» importanti, è netta e senza appello: la terna delle compe tenze ritenute essenziali comprende l’inglese (85%), la «capacità di scrive re correttamente in italiano» (78%), la «capacità di usare le tecnologie in formatiche» (72%). Non la storia del la letteratura, non la matematica. Per Oliva, «la risposta è chiarissima: die tro c’è il desiderio e la voglia di posse dere strumenti di comunicazione con il mondo. Con gli amici, con In ternet, con l’Europa». Al polo estremo della classifica, ec co le nuove Cenerentole: la filosofia, «intesa sia come analisi logica — spe cifica il quesito — sia come studio delle visioni del mondo», ferma a quota 22%. E la musica, «compresa la sua pratica»: 13%. «E stiamo parlan do — specifica Giancarlo Gasperoni, che ha diretto l’indagine — di una fa scia d’età in cui si dà per scontato che quello musicale sia un elemento im portante. Per certi versi è un segnale preoccupante, di sfiducia verso la scuola».

I promossi e i bocciati

Gasperoni, che è sociologo dei pro cessi formativi all’Alma Mater di Bo logna, nel Dipartimento di discipline della comunicazione, sa perfettamen te che la percezione di una cosa è strettamente correlata alla sua rappre sentazione. «Per capirci, latino e gre co antico: il 75% degli intervistati li vorrebbe solo al classico. E la mate matica è ritenuta importante solo dal la metà di questi 'giovani adulti', co sa che si riflette anche sulle loro pre stazioni». Il punto è che «se non vie ne percepita l’importanza di un inse gnamento, è difficile che lo studio sia incentivato...». E da chi, se non dai professori. I ve ri «convitati di pietra» dell’indagine. Che, nella pagella stilata dai freschi ex studenti di licei e istituti tecnici di tutta Italia, restano figure dai contor ni sfumati. Perché, alla domanda «su quanti insegnanti abbiano lasciato il segno o trasmesso valori — commen ta Oliva —, la risposta è pochissimi»; addirittura nessuno (19%) o uno sol tanto (45%). «E dato che si parla di tutta la secondaria, questo significa uno su 10 o più. Evidentemente c’è un livello medio di docenti che non lasciano traccia, e per un ragazzo que sto significa molto». Non a caso i «rapporti personali con gli insegnanti», insieme alla loro «competenza didattica», galleggiano nella fascia intermedia della pagella: un ex studente su due si definisce solo «abbastanza» soddisfatto. Molto me glio i «rapporti con i compagni di classe», leggermente più soddisfacen te l’«interesse delle materie». Medio cri i libri di testo e le strutture scola stiche, aule incluse. «Forse questo ac cade — ipotizza Oliva — perché stu denti e famiglie hanno aspettative non particolarmente elevate sulla scuola; temo che i nostri ragazzi non riescano neppure a sognare una scuo la che sia molto più interessante e coinvolgente».

Dai banchi alla realtà

C’è anche, nella ricerca, un accento molto forte sul rapporto tra scuola e mondo esterno. Per esempio, quello del lavoro. «E alla domanda su quan to sia adeguato alle richieste del mer cato il livello di preparazione avuto al le superiori — riassume Oliva —, la risposta è drammatica: la maggioran za non ha avuto alcun contatto con il mondo del lavoro attraverso la scuo la. Né stage, né tirocini». Che addirit tura, interviene Gasperoni, «sono più rari nei percorsi liceali, in Italia storico bacino di provenienza della futura classe dirigente». È, da sempre, una delle battaglie di TreeLLLe, insieme a quella sulla valu tazione dei docenti. «Perfino Obama ne ha sostenuto la necessità — rilan cia Oliva —. Una convinzione che si è sempre scontrata con un interrogati vo: come si misura il loro valore? Be ne, l’80% di questi 'giovani adulti' ri tiene di essere stato in grado, a fine percorso, di valutare gli ex prof. Di più: il parere coincideva con quello dei compagni. È la dimostrazione che i giovani, in quella fascia d’età, sono i migliori giudici del proprio insegnan te ». Va anche detto che, alla doman da sulle figure di riferimento per le scelte scolastiche, due terzi degli in tervistati ha risposto «se stessi» e, in seconda battuta, i genitori. E l’autore ferenzialità, forse, è un rischio da non sottovalutare.

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